Marzia, ventiseienne impiegata in un’agenzia di affari, andavo al lavoro più nera che mai; ero appena reduce da uno scontro con mio marito Gilberto, ventottenne operatore finanziario, col quale i rapporti si erano molto deteriorati negli ultimi mesi; sposati da pochi anni dopo un amore decennale, cominciato dagli anni universitari, avevamo avuto un breve periodo di grande amore costellato di momenti di felicità e di alta pulsione amorosa.
Anche sessualmente ci eravamo trovati benissimo e lui mi aveva largamente soddisfatta con la sua mazza di oltre venti centimetri per uno spessore notevole; avevamo scopato fino a tre volte al giorno, nei momenti di massima pressione del sesso; poi lui aveva cominciato a farsi prendere dagli impegni di lavoro, assai onerosi in verità, ed aveva progressivamente rallentato il ritmo della passione; la tensione nervosa si scaricava anche su sciocchezze ed avevamo cominciato a litigare.
Quella mattina una nuova polemica era sorta solo per una spesa voluttuaria che avevo fatto senza avvertirlo; economicamente, non eravamo a livelli di dovercene preoccupare eccessivamente; ma le parole erano andate oltre l’intenzione e lui era risultato aggressivo e improvvido; io non avevo accettato le scuse ed ero andata al lavoro decisa a fare qualcosa, qualunque cosa, per piegare l’arroganza di un marito che, atteggiandosi a maschio alfa, mi umiliava senza neppure rendersene conto.
La prima persona che incontrai fu Gianni, un collega coetaneo di mio marito che non smetteva di vantare in giro la sua mazza spropositata e fatta apposta per scopare senza un domani; più volte lo avevo respinto chiamando in causa la fedeltà coniugale e l’inutile millanteria; qualche curiosità mi aveva scatenato la continua insistenza di lui sulle dimensioni del cazzo; ma, fino a quel momento almeno, non avevo caricato di troppi significati l’atteggiamento provocatorio di lui.
Quasi per reazione alla mia stessa rabbia, sculettai alquanto, quando lo incrociai; lui si passò voluttuosamente le mani sull’enorme pacco e mi invitò tacitamente a sperimentare almeno una volta la sua possanza; per tutta la mattina ci scambiammo taciti messaggi lussuriosi restando comunque ai posti di lavoro non molto distanti; quasi a mezzogiorno avvertii un’indifferibile esigenza di vuotare la vescica; conclusi in fretta il foglio a cui lavoravo e mi diressi ai bagni.
Nell’antibagno, mi fermai al lavandino per lavarmi le mani; notai che dalla porta aperta del bagno degli uomini si vedeva Gianni, davanti all’orinatoio, che non orinava ma si manipolava con gusto sensuale una mazza importante; tornai nella cabina del bagno e lasciai la porta aperta; lui sgattaiolò silenziosamente dentro e mi offrì in silenzio il cazzo duro.
Lo presi a due mani, una per i coglioni grossi e morbidi, e avviai una lenta e dolce masturbazione in cui sapevo di essere quasi una fata; guardavo con gioia il volto di lui stravolto in una smorfia di piacere; quando mi prese la nuca per piegare la bocca sul cazzo, lo respinsi con forza, significando con chiarezza che più di una sega non gli avrei concesso; lui spostò la mano sul culo, entrò nel leggins e nello slip, titillò un poco l’ano fremente e raggiunse il clitoride che prese a manipolare con gusto.
Ci sapeva fare l’uomo, e mi trovai a godere molto mentre mi strizzava il clitoride e lo strofinava strappando sferzate di piacere; a quel punto avevo deciso che almeno una sega l’avrei fatta, per far abbassare la cresta al mio presuntuoso marito; se la masturbazione diventava reciproca, sarei stata anche più soddisfatta; non avevamo molto tempo, nel bagno che chiunque poteva reclamare; accelerammo il movimento di masturbazione e in pochi colpi sborrò contro il water e io venni sulle sue mani.
Quando uscimmo dal bagno, lui mi chiese se fosse stato solo un anticipo di quello che insieme potevamo fare; mi limitai ad un vago ‘chissà’ perché ancora non avevo chiaro dove volessi spingere la ribellione al tiranno; a casa, avrei parlato con mio marito e insieme avremmo trovato una via di uscita; in caso contrario, non mi sarebbe dispiaciuto avere una valvola di scarico delle tensioni e un percorso per rendere a mio marito difficile la presunta supremazia.
Il dubbio si acuì e divenne insopportabile quando, a fine giornata, ripresi la via di casa chiedendomi se dovessi davvero affrontare il chiarimento immediato con mio marito; il telefonino segnalò un messaggio in arrivo, proveniente da Gianni; mi fermai in un punto dove potevo agevolmente controllare, aprii l’allegato e mi balzò in faccia il video della sega che avevo praticato nel bagno dell’ufficio; la didascalia fu ancora più intrigante.
“Il video per ricordarti un momento meraviglioso; credi davvero di poter rinunciare a raggiungere insieme il sublime?”
Mi passai una mano tra i capelli perplessa; proseguii verso casa e, appena entrata, aggredii con forza Gilberto avvertendolo che dovevo parlargli e non gli consentivo di interrompermi; per tutta risposta, lui, indispettito dal tono arrogante della dichiarazione, si ritirò nello studio e mi lasciò a rimuginare sugli errori, o colpe che fossero; conclusi, alla fine, che non meritava neppure il dialogo chi non mi consentiva di parlare liberamente.
Passarono solo pochi giorni e, per un nuovo ormai quotidiano litigio su questioni piccole, andai in ufficio nera come un cielo in tempesta; quando Gianni si avvicinò con intenzioni cortigiane, gli dissi semplicemente di non fare niente e di non dire niente in ufficio; fuori, se mai, avremmo parlato e, se se ne fossero presentate le opportunità, potevo anche prendere in considerazione l’ipotesi di dare un seguito alle premesse che si erano stabilite.
All’uscita, trovai Gianni che aspettava al cancello; mi disse di seguirlo; saremmo andati in un posto sicuro e avremmo valutato le possibilità di un incontro serio e positivo; mi accodai con l’auto alla sua e mi trovai in via Palestro, al 26, dove lui parcheggiò e mi indicò un posto libero lì a fianco; sistemai l’auto, scesi e mi avviai con lui a un portone; valutai che non sarebbe stato un incontro breve, qualunque fosse stato lo sviluppo della situazione; mandai a Gilberto un messaggio per avvertirlo che tardavo.
Salii con lui le scale fino al secondo piano e lo seguii quando lui aprì una porta ed entrò in un piccolo appartamento; mi spiegò brevemente che quello era il ritiro segreto; lì saremmo stati in pace e senza problemi; mi liberai del soprabito e della borsa; mentre ammiravo l’arredamento semplice ma di buon gusto, avvertii che lui mi carezzava dolcemente e lussuriosamente il collo e le spalle, mi passava le mani sui seni e stringeva con dolce pressione i capezzoli.
Decisi che avrei saltato il fosso ed avrei scopato; mio marito, causa e colpevole della trasgressione, avrebbe dovuto solo pentirsi della sua arroganza se mai fosse venuto a conoscenza del tradimento che stavo commettendo; nemmeno per un attimo mi sfiorò l’idea che potesse inalberarsi fino a rompere il matrimonio; il sacramento doveva essere intangibile anche per lui; gli errori, che non potevano considerarsi colpe, sarebbero stati perdonati e dimenticati.
Su questa rasserenante convinzione mi girai nel lussurioso abbraccio di lui e lo baciai sulla bocca; succhiai e titillai a lungo le labbra; intrecciammo un duello di lingue che ci faceva fremere di desiderio fino ad un orgasmo che evitammo per poco; i ventri si schiacciavano l’uno contro l’altro e i sessi si stimolavano; sentii presto tra le cosce, contro la figa, da sopra i vestiti, la bella mazza da cui mi aspettavo molti piaceri.
Mi ero stesa sul letto e lo aspettai ansiosa; si liberò in fretta degli abiti e salì accanto a me; mi sfilò il reggiseno e fece esplodere al cielo un seno meraviglioso, ritto come pietra e soffice come panna; si piegò a leccare le carnose mammelle e le tormentò a lungo con mani e bocca, assaporandone il gusto come se assaggiasse un dolce particolare; osservò compiaciuto i capezzoli, piccoli e rosei, pregustò una vagina stretta, soprattutto per la sua mazza notevole; succhiò i capezzoli, uno per volta, e mi sentì gemere di goduria e lanciare piccoli urli quando ne stringeva uno tra i denti.
Si perse per un poco sul seno meraviglioso e succhiò come per poppare latte vitale; ne ricavò solo un piacere infinito che lo portò vicino all’orgasmo; scese con la lingua e con le dita lungo il ventre piatto, teso, morbido e attraente come calamita; giunto al perizoma, tirò giù i laccetti liberandolo dalle tumide grandi labbra e dalle natiche che lo imprigionavano, si spostò verso i piedi e si chinò a baciare la figa.
Cominciò a leccare l’interno della coscia da sopra il ginocchio e arrivò lentamente alle grandi labbra; le catturò nella bocca e poi tra i denti, prima una poi l’altra, gioendo ad ascoltare i gemiti di languore che sfuggivano dal petto ansante; infilò la lingua fino a far aprire il fiore delle piccole labbra e lambì dolcemente il clitoride; la mia mano gli artigliò la testa e la spinse con forza sul pube rasato; succhiò con forza, prese tra i denti il clitoride e lo tormentò.
Gemevo come il suono di una sirena e mi abbandonavo al piacere che lui sapeva darmi con la bocca, la lingua e i denti; dopo il terzo orgasmo consecutivo che mi privò di energie, mi sollevai a sedere, lo spinsi supino sul letto e mi gettai quasi affamata sulla mazza che si levava imponente al cielo; la mia piccola bocca si aprì in una sorta di nuova voragine ed ingoiò la cappella che leccai a lungo, tenendola in gola.
Ci sapevo fare e tenevo tra le mani l’asta fuori dalle labbra, regolando la penetrazione; ma ero abituata alle fellazioni ardite di mio marito, quindi non mi spaventai quando ne fece entrare ancora una buona parte, mentre mandavo su e giù la testa pompando con forza il sesso in gola; lui dovette frenarmi per non arrivare ad un orgasmo; voleva scoparmi a lungo e con gusto.
Dopo che ci fummo sollazzati ampiamente con bocche, mani e sessi, mi disposi carponi sul letto, invitandolo implicitamente a prendermi da dietro; si accosciò alle spalle e passò devotamente la lingua, a larghe spatolate, su tutta la superficie, dall’ano alla vagina, strappandomi intensi brividi e gemiti; penetrò più volte con la punta nella vagina, cedevole ed ampio, e nell’ano che rilassava progressivamente le grinze per aprirsi a una prevedibile penetrazione.
Quando sentì che colavo umori di orgasmo, puntò decisamente il fallo all’ingresso della vagina, afferrò da dietro i seni e, facendo forza su di essi, spinse l’asta fino in fondo, colpendo con vigore; lanciai un piccolo urlo; poi i muscoli vaginali abbracciarono il fallo e aiutarono il movimento di vai e vieni; la libidine che travolse Gianni fu di quelle che raramente si dimenticano; mi montò selvaggiamente a lungo, frenandosi spesso per non eiaculare.
Quando mi sentì rilassarmi, sfilò dolcemente l’asta dalla vagina, raccolse gli umori che l’orgasmo aveva scaricato e spostò l’asta all’ano; afferrò di nuovo i seni per fare forza e spinse; lo fermai con un gesto quando lo sfintere reagì con forza; poi mi rilassai e fui io stessa a spingere indietro il sedere, penetrandomi fino in fondo; i testicoli picchiarono sulla vulva e fui certa di averlo tutto dentro.
Ci meravigliammo entrambi che il retto avesse accolto una mazza così dura e possente fino all’intestino; la sentii anche nello stomaco, perché tutto il pacco addominale fu spinto in avanti; ma il piacere che mi dava il fallo che scivolava nel ventre era sublime; lui si perse felice nelle sensazioni di estrema voluttà che gli dava il mio buco stretto intorno al cazzo.
Mi cavalcò a lungo così aggrappato ai seni e spingendo con voglia e con forza; avevo infilato una mano fra le cosce e accarezzavo lussuriosamente i suoi testicoli, usandoli per strofinare il clitoride libidinosamente; poi lui estraeva l’asta lentamente, fin quasi a farla uscire, e seguiva con gli occhi la violenza su quell’ano spanato che la mazza dilatava spropositatamente.
Finché, con un ultimo violento colpo, affondò tutto il suo membro nel culo travolgendomi con una venuta lunga e incontrollata; accolsi con goduria ed urla di piacere i singoli spruzzi che si perdevano nel ventre; delicatamente, lui accompagnò la riduzione del sesso finché, barzotto, lo sfilò garbatamente dall’ano; si sdraiò bocconi sul letto e lo seguii stendendomi accanto.
Fu la scopata più bella che ricordassi; quando tornai a casa, ero ancora presa dal fascino di quel pomeriggio; a mio marito non dissi una parola, anche perché il piacere provato mi induceva a ripetere l’esperienza; se guerra ci doveva essere, che almeno mi fruttasse qualche battaglia vinta; per oltre un mese ci recammo puntualmente al suo appartamento e glissai su tutte le domande di Gilberto, anche se mi appariva chiaro che fosse bene informato sulle mie mosse; finché affrontò lui la questione.
“Marzia, posso anche capire che abbia tanto lavoro straordinario da fare, chissà perché solo il mercoledì; quello che non capisco è che cosa ci sia a via Palestro 26 dove ogni settimana vai e ti fermi fino a sera tardi; lo dice il GPS della tua macchina che non mente; quello che capisco ancora meno è il video con una sega che hai fatto a un tuo collega; è sul tuo telefonino e per caso mi è stato spedito da qualcuno che ha libero accesso al tuo cellulare; pensi di poter essere sincera o devo solo accettare le corna?”
Capii che non avevo scampo; confessai che avevo fatto la sega a un collega che si vantava di avere una grossa mazza; era stato solo un capriccio stupido da bambina; lui però aveva usato il video per ricattarmi e chiedere di far sesso; per questo, ogni mercoledì andavamo in un appartamento e ci passavamo ore a scopare; non intendevo affatto fare le corna e potevo solo chiedergli comprensione e pazienza.
Come avrei facilmente scommesso, ingoiò amaro; si chiuse nello studio e per un paio di settimane non mi rivolse nemmeno una sillaba; diventammo due estranei e presi atto che puntualmente usciva la sera e spesso non lo rivedevo che la mattina seguente; non sapevo se passasse le notti con un’altra o se si chiudesse, quando tornava a notte fonda, nello studio e vi dormisse senza neppure cambiare le lenzuola; me ne disinteressai, lo mandai al diavolo e continuai a scopare settimanalmente.